Università La Sapienza e Policlinico Umberto I insieme per la salute mentale

La Sapienza e Policlinico Umberto I educano i giovani all’uso corretto dei termini sui disturbi psichici.
“Ehi, bro, ma sei borderline”. Frasi simili, pronunciate spesso senza riflettere, sono diventate parte del linguaggio quotidiano tra gli adolescenti. In una società in cui il disagio mentale giovanile è sempre più diffuso, il Dipartimento di Storia e Antropologia dell’Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con l’Istituto di Neuropsichiatria Infantile di via dei Sabelli del Policlinico Umberto I, ha lanciato un ciclo di sei incontri rivolti agli studenti degli istituti superiori di Roma e provincia.
Comprendere il significato delle parole che #disturbano
L’iniziativa si concentra sull’analisi critica di termini come autistico, ritardato, schizofrenico, bipolare, borderline e anoressico, parole troppo spesso banalizzate o usate come insulti. L’obiettivo è far emergere la vera natura dei disturbi psichici e stimolare una riflessione su come questi vengono rappresentati da cinema, televisione, musica, teatro e social media. Attraverso un’analisi collettiva, si cerca di correggere e riformulare queste rappresentazioni, portando a una maggiore consapevolezza.
Un percorso educativo di 40 ore per superare lo stigma
Il progetto prevede un percorso formativo di 40 ore che si snoda in tre fasi: parole che #disturbano, parole che #chenonso e infine parole che #immagino. Gli studenti diventano così protagonisti di una campagna di sensibilizzazione sui disturbi psichici in adolescenza, dando voce alle proprie esperienze e promuovendo un uso più consapevole del linguaggio.
Una ricerca scientifica alla base del progetto educativo
Il percorso nasce dai risultati di una ricerca statistica condotta da Romana Andò, sociologa dei processi culturali presso il Dipartimento SARAS, e dalla dottoressa Arianna Terrinoni, dirigente medico del Reparto Emergenze Psichiatriche Adolescenti, in collaborazione con Ipsos. L’indagine ha messo in luce l’utilizzo improprio di termini legati alla malattia mentale in ambito scolastico, familiare e sociale, rivelando quanto questo contribuisca alla stigmatizzazione e all’isolamento dei ragazzi che soffrono davvero.
Contrastare l’invisibilità sociale dei disturbi psichiatrici
“La distorsione del linguaggio porta spesso all’invisibilità sociale del fenomeno”, spiegano gli organizzatori. “Per questo è fondamentale sensibilizzare i più giovani verso un uso più rispettoso delle parole che #disturbano, termini che hanno un preciso significato clinico ma che nel linguaggio comune diventano veicoli di hate speech tra adolescenti”.