Università di Palermo condannata: risarcimento per operai dell’Orto Botanico

Università di Palermo

Il tribunale impone all’Università di Palermo il risarcimento di quattro operai per 30 anni di precariato

Il tribunale del lavoro ha emesso una sentenza storica contro l’Università di Palermo, condannandola a risarcire quattro operai impiegati presso l’Orto Botanico con una somma di 1.800 euro al mese ciascuno, per 24 mensilità. La motivazione del giudice Paola Marino è chiara: «per la reiterazione abusiva dei contratti a tempo determinato stipulati sin dal 1988».

I lavoratori, rappresentati legalmente dall’avvocato Alessandro Duca, hanno prestato servizio per decenni nel cuore verde del capoluogo siciliano, occupandosi in modo continuativo di mansioni essenziali come manutenzione, pulizia e irrigazione.

Anni di precariato e ricorsi ignorati

Nonostante il lungo servizio, gli operai hanno vissuto per anni in una condizione di precarietà. Le richieste di stabilizzazione presentate in via stragiudiziale non hanno trovato accoglimento da parte dell’Ateneo. Nel 2024, soltanto uno dei quattro è riuscito a superare un concorso bandito due anni prima.

Di fronte al perdurare dell’incertezza contrattuale, i lavoratori hanno scelto di adire le vie legali, portando la questione davanti al giudice del lavoro.

Il giudice: attività continuativa e non stagionale

La sentenza del tribunale è stata netta. «Dalle prove testimoniali assunte – scrive il giudice Marino – è emerso in modo inequivocabile che l’attività svolta dai ricorrenti nell’arco di oltre 30 anni non può rientrare fra i lavori stagionali». Una considerazione rafforzata dal fatto che le mansioni svolte non si sono limitate a determinati periodi dell’anno, ma hanno avuto carattere continuativo e strutturale.

Il giudice ha inoltre sottolineato come le attività affidate ai lavoratori fossero così eterogenee da non potersi ricondurre ad alcuna categoria tipica della stagionalità. La condotta dell’Università di Palermo è stata pertanto ritenuta lesiva dei diritti dei dipendenti, configurando un abuso nella reiterazione dei contratti a termine.