Nuove prospettive terapeutiche per la narcolessia

Nuove terapie sperimentali promettono di cambiare la vita dei pazienti affetti da narcolessia agendo direttamente sulla causa della malattia.
Nuove terapie aprono scenari inediti per chi soffre di narcolessia. Dopo il Congresso Mondiale del Sonno di Singapore e in vista della Giornata Mondiale della Narcolessia del 22 settembre, durante l’incontro «Nuovi approcci contro la narcolessia» svoltosi nella Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro al Senato, sono stati presentati trattamenti innovativi in grado di agire direttamente sulla causa di questa patologia cronica e altamente invalidante, ancora oggi sottodiagnosticata.
Narcolessia: diffusione e impatto sulla vita quotidiana
Queste nuove cure, attualmente nelle ultime fasi di sperimentazione prima dell’approvazione delle autorità sanitarie, potrebbero rappresentare una svolta decisiva, offrendo una possibilità di cura concreta a molti pazienti. La narcolessia è classificata come malattia rara: in Italia si stima colpisca circa 10mila persone, ma solo duemila ottengono una diagnosi corretta.
Nell’oltre 50% dei casi esordisce durante l’infanzia o l’adolescenza, con conseguenze rilevanti sull’apprendimento, disturbi cognitivi, difficoltà emotive (come ansia, nervosismo e depressione) e un sonno notturno frammentato. Ai sintomi più noti – sonnolenza diurna eccessiva e cataplessia – si aggiunge una sensazione profonda di “pesantezza di vivere”, che porta i pazienti a percepire di “sopravvivere” anziché vivere pienamente.
Il ruolo dell’orexina e la causa della malattia
La narcolessia è dovuta alla perdita delle cellule cerebrali responsabili della produzione dell’orexina, o ipocretina, un peptide fondamentale per regolare il ciclo sonno-veglia e mantenere la veglia. «Nelle persone che soffrono di narcolessia, l’orexina è assente o ha livelli molto bassi – spiega il Prof. Giuseppe Plazzi, Professore di Neuropsichiatria infantile presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, centro di riferimento internazionale per la ricerca clinica in questo ambito – I farmaci disponibili fino ad oggi hanno agito solo sui sintomi, con benefici limitati. Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sulla necessità di sostituire l’orexina per colpire direttamente la radice della patologia».
Nuove molecole e risultati clinici incoraggianti
Le più recenti sperimentazioni hanno evidenziato l’efficacia di molecole capaci di attivare il recettore dell’orexina, con ottimi risultati nel controllo dei sintomi. Per la prima volta diventa possibile agire sulla causa della malattia. «L’impatto sulla qualità della vita dei pazienti, specialmente bambini e adolescenti, sarà straordinario, come già osserviamo nei trattamenti in corso» aggiunge Plazzi.
Attualmente, 70 pazienti su 300 seguiti nel centro di Bologna hanno già mostrato miglioramenti significativi: almeno il 40% di loro non presenta più alcun sintomo. I farmaci, da assumere con regolarità, hanno mostrato effetti collaterali minimi o transitori, offrendo nuove speranze per un futuro più sereno.